Leggendo il tuo romanzo, vien da chiederti perché ce l’hai tanto con i cani…

Questa è una lunga storia.

Nel Settembre del 1993 ero al primo anno di università. Passeggiavo per le strade di Torino in compagnia di mio padre, alla ricerca di un appartamento in affitto.

All’improvviso, un cagnetto scattante, con il cappottino e con gli ormoni forse in disordine, saltò addosso alla gamba destra di papà, cercando di amoreggiare con la sua tibia.

Mio padre spontaneamente scalcia, per porre fine alle attenzioni della bestiola.

A quel punto una signora sui 60 anni si avventa su di noi, apostrofando mio padre e la sua malcapitata gamba:

– “Ha mica fatto male al cane?”
– “L’ho solo allontanato…”
– “No, perché pensavo che avesse fatto male al cane…”
– “Avevo paura che mi mordesse, si è lanciato sui pantaloni!”
– “No, perché da lontano sembrava che avesse preso a calci il cane!”

E avanti così per altri due o tre minuti.

Mio padre è nato negli anni ’40, ha vissuto la maggior parte della sua vita in un paese del sud, e, quando ha abitato in città (Milano, Bologna, ecc.), era davvero un’altra epoca: a uno come lui, cresciuto in un contesto ancora agricolo, questa personalizzazione del cane suonava ancora un po’ bizzarra. Ricordando l’episodio, ama ripetere in dialetto: avis’ vid’ u can’, aggiustat’ cum’ nu quatrarill’ (Dovevi vederlo il cane, vestito come un bambino).

Aveva colto il punto. L’uomo di oggi tende a “umanizzare” ciò che “umano” non è: le cose e l’animalità.

Alle cose (specie agli oggetti tecnologici) invidia la perfezione, la possibilità di aggiornare e potenziare all’infinito, l’immortalità (perché l’obsolescenza è solo “programmata”).

Sex appeal dell’inorganico si intitolava un saggio di Mario Perniola che preconizzava che il corpo sarebbe diventato “una cosa che sente”.

Agli animali invece l’uomo invidia l’agire istintuale, privo di “sovrastrutture” culturali (questa “maledetta” cultura che crea solo odio e disarmonia).

Quello che mio padre aveva capito è che il cane, da animale di compagnia, si è trasformato in un surrogato di figlio, nipote, perfino fidanzato.

Quante coppie vediamo oggi accudire un cucciolo al posto di un figlio che non vogliono fare?

Questo è ancora niente. Il “progresso” regala sorprese ogni giorno. Ora ci sono anche gli human puppies: ragazzi che traggono piacere dal travestirsi e dal comportarsi come cani.

www.internationalpuppyclub.com

E il bello sapete qual è? Che i primi commenti che leggo in rete non si chiedono se questo nuovo fenomeno sia, almeno in parte, patologico oppure se possa essere il segnale di un malessere sociale. No, i commentatori si chiedono, ad esempio come “potrebbe nel nostro Paese un uomo sentirsi libero di travestirsi da cane (in qualsiasi periodo dell’anno che non sia carnevale) se perfino due lesbiche evitano di tenersi la mano per strada?”.

Se sei un hikikomori, nessuno dubita che tu debba intraprendere un percorso terapeutico, se invece sei a tuo agio solo travestendoti e comportandoti da cane, gli altri si interrogano sulla propria tolleranza…

Io sarò anche reazionario, sarò anche medievale, come si usa dire oggigiorno, ma non ci trovo nessuna simpatia, nessun segno di progresso, nessuna sfida alla mia “apertura mentale”, in fenomeni come quello appena citato.

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