
Lavoro a scuola. Il mio tempo sembra essere scandito dell’ orario scolastico, dal susseguirsi dei giorni della settimana che sembrano scorrere come un rullo, finché un giorno, quasi all’improvviso, l’anno è già finito.
A settembre, al contrario, l’inizio anno sembra sempre un tempo sospeso, tra orari provvisori, docenti precari che tardano ad arrivare, riforme incombenti, cumuli di burocrazia prossima-ventura.
Talvolta ho l’impressione (e non solo io) di cadere in una perenne attesa di un “tempo normale” che non arriverà mai.
Da qui lo spunto iniziale per parlare del tempo, cioè di qualcosa che, a differenza dello spazio, non esiste.
Esiste, invece, la percezione del tempo. Affannosa, distorta, sempre in ritardo rispetto a quella che è l’unica possibile dimensione in cui si forma l’illusione di una durata: il corso degli eventi.
Solo i movimenti e i mutamenti, nello spazio “esterno” come nei confini del nostro corpo, permettono all’anima di trasformarsi in numeratore “del prima e del poi”, come insegna Aristotele nella sua Fisica .
Da queste osservazioni, è nata l’idea di un libro che riflettesse sul nostro rapporto con il tempo, cioè qualcosa che, pur sembrando essenziale nel definire la nostra azione nel mondo, di fatto, è un fantasma della mente.